29 giugno 2010

Cronache catodiche/2 - Stati di Sofferenza Incolmabile

Sofferenza

Già qualche individuo sciabattante e accaldato ha raggiunto la postazione, in attesa. Per la maggior parte si tratta di donne di mezza età inoltrata, che hanno visto scomparire da un pezzo la luce d'ingresso del tunnel. Fanno tutte parte di quella particolare categoria di gente di città convinta che la residenza balneare permetta di abbandonare con leggerezza ogni minima regola di coerenza nell'abbigliamento. Signore piccolo borghesi in vacanza dal buongusto.
Un cicalare eccitato si leva quando gli altoparlanti del televisore fanno risuonare la ben nota sigla.
TG.
La Notizia è in apertura. Nonostante ce lo si aspettasse, l'effetto della conferma dei peggiori timori che da ieri attanagliavano le menti è devastante. Immediate, fredde e impietose le parole della conduttrice fugano ogni dubbio, mostrano la gelida realtà in ogni dettaglio. Il balletto di parole e immagini intesse la storia di ciò che è stato, così preciso e ineluttabile come solo le tragedie sanno essere. Gli occhi delle spettatrici sono fissi sullo schermo, a raccogliere ogni frammento di quel che mai più sarà. I volti di alcune lasciano trasparire il ribollire di emozioni che si sta verificando nei loro cuori. Sofferenza, rimpianto e angoscia si avvicendano senza ordine apparente; è un caos diffuso quello che regna in questi animi inquieti. Viene sussurrato qualche commento su chi è rimasto: moglie e figlia, piccole zattere ora alla deriva in quell'oceano nero in cui il mondo si è trasformato.
Una mano si leva lenta e lugubre: fronte, petto, una spalla e poi l'altra. Piccoli rituali per esorcizzare un dolore quasi insopportabile. O forse un semplice gesto di pietà.

Nei discorsi di oggi passeranno in secondo piano gli argomenti usuali, nessuna di queste madonne in occhiali da sole citerà indignata la risoluzione della corte statunitense contro il Vaticano. Nessuna criticherà il costume succinto della vicina di ombrellone o racconterà con accondiscendenza l'ultima birichinata del nipote. Oggi solo una storia potrà essere raccontata. Forse pagine patinate passeranno sotto occhi inumiditi dalla pietà, affamati di approfondimenti al fine di appagare un qualche segreto masochismo. Mani sfoglieranno veloci, impegnate in una compulsiva caccia al dolore.

Proprio mentre le note finali della struggente canzone che ha accompagnato il lungo servizio si spengono nell'aria, una nuova, ignara figura si unisce al gruppetto. Un breve scambio di sguardi per decidere a chi toccherà riferire la triste nuova. Una bionda cenere stipata in un pareo leopardato si volge verso la nuova arrivata. La leggera vibrazione della voce lascia trasparire l'emozione che gli occhiali fucsia nascondono: «E' morto Taricone.»

Nemmeno io sono quasi più cosciente di me stesso quando un vecchio mi si trascina al fianco, indirizzandomi uno sguardo complice accompagnato una frase incomprensibile. «Come scusi?» La frase viene ripetuta, una sequenza di suoni gutturali che hanno qualcosa di primordiale. Il jolly è andato, non ce lo si può giocare due volte di fila. Lo fisso negli occhi, cercando di assumere un'espressione adeguata e rispondo: «Sì». Mi guarda soddisfatto e se ne va. Ci ho preso.
Abbasso lo sguardo, sollevato, tornando a riflettere sulla miseria umana.

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