30 settembre 2013

Sogni

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- Ma se posso chiedere, cosa porta un uomo, un uomo solo, a sedersi al tavolo di una bettola così? I miei clienti vengon quassù per ridere, bestemmiare, cascar giù dalle sedie. Per strepitar contro le stelle, quando proprio non va. Si son visti poche volte tavoli silenziosi a 'sto modo. -
Sul ripiano di formica i pugni si stringono un poco, senza quasi farsi notare, e da sotto uno sguardo appena infastidito un sorriso non del tutto disteso dice:
- Mi andava una bevuta per conto mio. -
Forse l'oste coglie al volo, forse è che semplicemente non ha voglia di spender parole con un cliente così. Prende l'ordine senza fiatare, scribacchiando su un taccuino segnato. Solo quando già è mezzo avviato verso il bar, di spalle, lascia planar sul tavolo una frase che forse è saggezza, forse soltanto copione:
- E allora bevi, bevici su. Il bar non porta ricordi, sono i ricordi che portano al bar.

Guardo la sua schiena allontanarsi e penso che invece no, si sbaglia, non si tratta di ricordi qui. Sono sogni. Una corsa dentro un buio inquieto, fradicio del presentimento oscuro che permea certi incubi ma senza che poi accada alcunché. Poi, senza soluzione di continuità, un veleggiare di barca, sbucata chissà come da quello zapping onirico che solo i sogni san regalare. E poi lungo un molo il viso di lei, e allora scendere, scendere in fretta, per rincorrere nella notte, da dentro un letto, ciò che di giorno s'è deciso di abbandonare. E lei indossa il suo sorriso migliore e io non so che è un sogno e non ricordo ciò che il giorno impone e allungo il passo. E la sveglia suona e io mi giro nel letto, la faccia ancora macchiata di sogni infami.
I ricordi si reggono, son polvere accumulata sopra le travi del passato, i sogni invece, bastardi, guardano avanti: fan progetti per loro conto, ti prendono alle spalle e tengono vive e presenti cose perse o abbandonate, appiccicandole bene dietro le palpebre, che restino lì anche quando la notte sarà passata. Non mi fido dei sogni. Sono la crusca della fantasia.

Poi un boccale si appoggia sul tavolo, sordo, a interrompere i pensieri.

[may be continued]

22 settembre 2013

Fogli sparsi

"Ogni tanto penso ancora a lei. Ma son passati anni, secoli, ere; acqua sotto i ponti e uno spazio senza fine, rotoli di chilometri che ormai non conto più. Il tempo e la distanza attenuano i ricordi, così è, e allora sono solo abissi approssimativi, crepacci abbozzati a spaccarmi l'anima ora. Forse ho sofferto per lei, o magari ne ho solo amato la nostalgia durante quel lungo tempo trascorso tra il giorno in cui promettemmo di rivederci e quello in cui realizzai che non sarebbe accaduto mai. Ricordo a fatica. Le promesse sono vaghe e belle, fumo d'incensi che una volta svanito non lascia che sensazioni morbide e vaghe, assieme alla coscienza - o la speranza - che tutto sarebbe stato troppo, se fosse durato più di così. Bisognerebbe tener sempre presente lo scadere d'ogni magia."

Il foglio macchiato d'unto stava appeso tra molti altri, parole storte dal vino a tappezzar il muro scrostato di quel circolo da due soldi, un singolo stanzone di sedie spaiate e tavoli consunti, con la copale raschiata via da anni intensi di carte e gomiti a strisciar su e giù. Messaggi che erano il risultato dell'incontro tra spirito d'uva e anime d'uomini, incerte tracce di pennarelli su carta giallada cucina: frasi uscite da fondi di bottiglia, affermazioni scontate, dichiarazioni d'amore sincere e altrettanto sinceri insulti, frasi insensate, amare constatazioni, folli dichiarazioni e una quantità d'oscenità tale che solo le mura di un'osteria potevan reggerle senza crollare.

- I bicchieri solitari son tristi, è per questo che si brinda, per farli sentire meno soli. -

La voce dell'oste sa di Marlboro e vino rosso, suono di legno grezzo venato dai cerchi di molte stagioni. A accompagnare quelle parole una bottiglia atterra sul tavolo, troneggiando a suo agio su un campo ben conosciuto.


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