31 dicembre 2011

Lavoro in corso


Salve a tutti.
Per chi se lo stesse chiedendo sto bene, ho passato un sereno Natale, non ho in progetto di sposarmi con un'aborigena e no, non credo che Ronald McDonald sia annoverabile tra le icone del postmoderno.
Almeno due di queste domande mi sono state rivolte davvero.
E' che ultimamente sono stato un po' assente. A chi negli ultimi giorni si fosse interrogato sul motivo di ciò posso rispondere che sto lavorando 10-12 ore al giorno e quindi il tempo utile per fare qualsiasi altra cosa è praticamente azzerato.
Il progetto è di lavorare sodo oggi per assicurarmi domani un tranquillo avvenire: un piano previdenziale concentrato in pochi mesi.
E magari vorrei diventare ricco a breve.
Facendo il cameriere.
Già.
Questa era la risposta 1. A chi invece si domandasse dove sono finito da un periodo superiore a qualche giorno vorrei comunicare che sono in Australia. Ciao.

Com'è scontato sta cosa del lavoro ha qualche effetto collaterale, tipo che dopo averlo millantato per anni probabilmente questa è la volta buona che a Capodanno non faccio niente. Niente sul serio. Prevedo il S. Silvestro più sobrio della mia vita. Evidentemente dovevo mettere mezzo pianeta di distanza da casa per riuscire finalmente ad emanciparmi dalle celebrazioni comandate. Per le d eufoniche invece devo lavorarci ancora un po' su.
Immagino che qui le dirette dello scoccare della mezzanotte alle varie longitudini siano molto più brevi rispetto che in Italia, data la poca distanza dalla linea del cambio di data. Non guarderò la tv per verificarlo, ma già saperlo è di per sé un sollievo.
Ci si sente nel 2012. Buon anno. Ciao.

21 dicembre 2011

Lettera aperta a un musicista della Salvation Army

Salvation Army logo

Mio giovane e poco talentuoso amico,

oggi voglio essere franco con te: ogni volta che mi capita di incrociarti, mentre ti esibisci coi tuoi altrettanto giovani e brufolosi amici in coppie d'archi o terzetti di ottoni di fronte a Woolworth o fuori dalla State Library, un brivido mi percorre la schiena.
Ma non fraintendermi, ciò non è dovuto all'evidente lacunosità con cui ti sei dedicato allo studio dello strumento, alla mancanza di tempo, ritmo e coordinazione che spudoratamente esibisci o anche solo all'evidente incapacità che dimostri nel mettere più di quattro note intonate di fila.
No, la scarica che mi corre lungo la spina dorsale ogni volta che ti vedo apparire è dovuta a ben altro, a qualcosa di cui forse ti rendi conto, ma che non riesci ad ammettere a te stesso con la dovuta sincerità.

Perché te lo si legge in fondo agli occhi, che tu qui non ci vuoi stare.

Qua ti ci hanno messo - a pallida imitazione dei busker di professione che affollano queste strade - quelli della tua religione, setta, s.p.a. o qualunque cosa la Salvation Army sia; ti hanno convinto che basta il buon cuore per spillare soldi alla gente, e tu magari hai subito entusiasticamente accettato, persuaso di aver finalmente trovato un modo per coadiuvare la tua frustrata passione musicale col tuo altrettanto frustrato desiderio di servire il Signore.

Ma cosa credevi, che sarebbe stato facile? Non vedi ora come sei ridotto? Poche monete tintinnano nel barattolo che l'addetto alla raccolta fondi del tuo gruppo stringe tra le mani, standosene un po' discosto da voi "veri musicisti", mentre tutto il suo essere traspira sollievo per non doversene star lì come te, bloccato su una sedia a subir l'umiliazione di dimostrarsi un incompetente legionario di Dio. Anche il berretto da Babbo Natale ti hanno fatto indossare! E il solo risultato è quello di farti sembrare la versione smunta e triste di un aiutante del vecchio con le renne, che qui i sentimenti natalizi sembra continuino ad essere ben poco sentiti.
Si stanno prendendo gioco di te, lo capisci?
Che poi, a voler esser pignoli, quel cappello sarebbe anche un simbolo alquanto blasfemo, se indossato da chi professa una religione che nel corso dei secoli si è specializzata nel bruciare, distruggere e soppiantare tutto ciò che avesse una minima parvenza di pagano. E un ciccione che scampanella mentre guida una slitta trainata da renne volanti direi che rientra abbondantemente nella categoria.

Quindi svegliati, mio ottuso e inesperto amico!
Non ti chiedo di farlo per me, io posso impunemente continuare ad assistere allo squallido spettacolo che ogni giorno metti in scena, il moto d'orgoglio che ora invoco è piuttosto per te stesso e la tua dignità. Anche tu hai diritti fondamentali, nonostante la tua affiliazione alla Salvation Army!
Alza finalmente uno sguardo fiero sul mondo, getta a terra il tuo strumento, iscriviti ad Economia e vai a fare il broker. O il mafioso. E' così che ci si procura soldi nelle religioni vere.
Con stima,

E.

Salvation Army buskers

P.S.: ah, dimenticavo, Dio non esiste.

P.P.S.: e, se anche esistesse, penserebbe che sei uno sfigato.

15 dicembre 2011

Io in: "Io vs. il pianeta che mi circonda"

Rispettabili individui

Tratto da una storia vera.

Ora sono una persona ammodo. Ho un conto in banca, la tessera dei mezzi, pantaloni con la piega e di tanto in tanto leggo gli editoriali dei quotidiani, quando li trovo in giro. Ho anche un lavoro rispettabile, sebbene all'inizio sarei stato disposto ad accettare qualunque impiego, anche il più squallido e umiliante, chessò, l'uomo sandwich, il venditore di bibbie o la maestra elementare.
Il momento peggiore dell'essere nuovo però, l'archetipo del malessere esistenziale da sindrome dello straniero, si configura per me in un momento particolare: il primo giorno in un ostello nuovo in una nuova città. Me lo vivo come il primo giorno di scuola.
O di guerra.

E' che tutto a un tratto ti trovi scaricata sulla schiena un'enorme dose di sconosciuto. Tutta assieme. Roba da rimanerci schiacciato sotto. Quindi è normale che il cervello metta in atto una qualche strategia per mettersi al riparo da questo enorme "cos'è?" che gli frana addosso.
Il mio, di cervello, si mette sulla difensiva.
E lo fa nel modo peggiore.
Mi guardo attorno, scruto volti sconosciuti e mi sembrano un po' tutte facce da stronzi; facce che chiacchierano a coppie o capannelli nel loro perfetto inglese (o almeno tale mi pare: la soggezione linguistica fa parte dello schema) e penso che sarò spacciato, condannato alla solitudine eterna, inchiodato alla gogna della pubblica indifferenza. Per i tempi dei tempi dei tempi.
Nei corridoi striscio lungo i muri come un'ombra, non sono più un essere umano ma solo un guscio imbottito di autocommiserazione e sconforto, sono un naufrago alla deriva su uno sgangherato io in mezzo ad una tempesta di umana incomprensione. Una storia di miseria. Penso alle battute bellissime che farei con i miei amici ultra-lontani e sorrido da solo. Mi mancano tutti. Pagherei per 5 minuti di pezza da parte di gente che a casa non mi sognerei nemmeno di sentire via sms. E, come se non bastasse, continuo a comprare acqua gassata per errore.

Insomma, la vivo malissimo.

Vado avanti così, granello di polvere abbandonato da Dio e dagli uomini, per un arco di tempo che va dalle 2 ore ai 2 giorni, lasciandomi macerare tra i miei "tutticoglioni" e "cazzocistoafarepoi". A un certo punto, però, la luce. Che sia grazie a una tipa che in cucina mi chiede il pepe, che non ho, o per un tizio che fuori tenta di scroccarmi una paglia, che non ho, ma ecco che la bestia sociale esce dal letargo che avevo preso per decesso, i meccanismi dell'integrazione, dati per spacciati, si rimetto lentamente in movimento e la trincea che avevo eretto contro il pianeta si sbriciola un pezzo alla volta.
Tiro un sospiro.
Anche questa volta il pericolo eremitaggio è andato.
Ma era solo una battaglia. Non credere, mondo: io e te ci incontreremo ancora.

11 dicembre 2011

Catinelle

A Melbourne quando piove non scherza per niente.
L'acqua vien giù a scrosci, a secchi, a cascate. Piove come se tutti gli angeli incontinenti del paradiso si fossero messi a pisciare in una volta sola, un diluvio che pare non debba esserci alcun domani.
E se è notte e tu sei appena uscito dal lavoro e ti sei già scolato 3 birre in attesa che le nuvole si spremano, dando retta alla tua logica boreale secondo la quale l'intensità della pioggia è inversamente proporzionale alla durata dell'acquazzone - ma evidentemente in questo emisfero non funziona così - chiacchierando con indigeni che pronunciano in tre sillabe ciò che tu dici in tre parole, e sotto i porticati trovi buskers che si esibiscono alle 2.30 (dueetrenta) della notte, bardati come non sapessero cos'è una dignità, e sulla via di casa, sotto l'acquazzone, scambi con gli altri fradici passanti quei saluti brevi e solidali che contraddistinguono i compagni nella sventura, con qualcuno che addirittura augura buonafortuna, e fidandoti del tuo orientamento imbocchi scorciatoie fino a che non ti rendi conto che quella fiducia è stata un grossolano errore, e alla fine arrivi in ostello e fradicio ti butti nel letto della tua camerata da 16, dopo aver scambiato quattro chiacchiere in bagno con altri umidi soggetti provenienti da mezzo mondo, il penultimo pensiero che ti passa per la testa riguarda le "papparadelle saldate", specialità del locale in cui ti eri rintanato una quindicina di righe fa. Un arcano che andrà svelato. L'ultimo, invece, è che, Melbourne, mi sa che possiamo intendercela io e te.

8 dicembre 2011

U-Turn


Sono io, quel puntino bianco che vaga senza pace per il sud-est australiano, ancora lì che lo cerco: il bandolo della matassa, l’inizio di sto viaggio.

Scegliendo di muovermi verso nord da Sydney ero finito fuori strada, ma se non altro ho avuto modo di capire che quella specie di incrocio tra la réclame di un detersivo e l’immaginario di un surfista fattone – che, nella mia ancora grande ignoranza delle cose australiane, identifico con la Gold Coast – non è il posto giusto dove fermarsi. E' solo un'altra Riviera Romagnola, in versione iper-proteica e patinata di California, ma nulla di nuovo rispetto ai luoghi dove ho passato la mia vita sinora.
Cioè, non so bene cosa io stia cercando, ma per ora sono abbastanza certo di non averlo trovato.

Tornare indietro quindi!
Verso quel sud da cui avevo deviato così, per il gusto di sovvertire i piani. Arriverà anche il tempo del nord, il settentrione estremo di Cairns e Darwin, ma ancora è presto, sta iniziando la stagione delle piogge lassù. Le tempeste vi si annidano a greggi.

Certo, le distanze australiane non rendono facili i dietrofront. Per la prossima volta, l’ho imparato: muoversi in questo stato richiede riflessione. Che se poi devi tornare indietro son cazzi.
C’è voluto un viaggio della speranza di 28 ore tra treni e corriera, attraversando la frontiera del Queensland, tagliando il New South Wales, sfiorando Sydney, attraversando il Great Dividing Range e doppiando Canberra, per sfociare infine nello stato del Victoria.
Pascoli e bush - bush e pascoli, e stazioni ferroviarie che paiono uscite da una canzone di Johnny Cash. Attraversando lande dove il cellulare non vede una tacca per ore, ma poco importa, che non c’è sta gran urgenza di sentir gente. 1600 km a piedi scalzi su treni dai pavimenti rivestiti di moquette. Un'Italia e un po'.
Comfort linee ferroviare australiane: voto 8.
Considerando il fattore Economy Class, sia ben chiaro.

E infine Melbourne, la volubile.
A vedere se riusciamo a volerci bene per un po’.

5 dicembre 2011

Wish you were here

Surfers Paradise by night


Tre figure si stagliano sulla spiaggia, ritte a piedi nudi tra onde basse di marea.
La ragazza fissa ammirata linee sconosciute di stelle, la corrente ricama la sabbia intorno ai suoi piedi.
Gli altri due pisciano nel Pacifico.
Prerogative di genere.

Poi uno dei due alza lo sguardo. Le pupille puntate su quella linea – quasi invisibile nella notte – che segna l'incontro tra cielo e mare.
E capisce.

“I Muse fanno cagare.”

Ma immediatamente, sotto, come da un amo nascosto tra la sabbia, si tende il filo di un altro pensiero.
Si guarda attorno. Grattacieli dormono elettrici sotto placidi cieli tropicali.
Bellezza banalizzata, come un lento dei Pink Floyd.

“Io di qui me ne vado.”

A volte capita di sbagliare strada.

2 dicembre 2011

Natural selection

Schoolies

Sono arrivato a Surfers Paradise aspettando di trovarmi davanti una vivace località turistica.

Mi sbagliavo.

Perché quello che ho trovato è stata una città sotto assedio.
Gli invasori portano il nome di Schoolies.
E sono ovunque.
Come una Hamelin d'Oceano Pacifico pure la Gold Coast ha la sua peste, e se i fratelli Grimm avevano impiegato i ratti a simbolo della disgrazia e dello schifo è perché mai avrebbero potuto immaginare una piaga di questa portata.
Una tale, orribile infestazione.
Sono molti si diceva, e li si riconosce sin da lontano, caratterizzati dalla spavalderia e dall'acne che solo giovane età e pesanti squilibri ormonali possono conferire.
Il termine "Schoolies" indica sia un periodo che un popolo, ed è in entrambi che io sono incappatto. Inerme e inconsapevole son piombato nel bel mezzo di uno status symbol adolescenziale australiano.

Ogni anno, in questo periodo, quando si concludono gli esami che segnano il termine delle High Schools, frotte di teenager si riversano qui, sulle località della Gold Coast, a seminare idiozia e distruzione. Che, come si sa, è l'unica forma di celebrazione che un cervello di quell'età riesce a elaborare.
Una specie di enorme gita delle medie in versione conquistadores, priva di qualsivoglia forma di autorità che possa garantire, anche solo di facciata, una minima parvenza di civiltà.
E' mostruoso.

Le conseguenze di ciò sono a dir poco devastanti: la percentuale delle ragazzine che ogni anno tornano a casa gravide sfiora la doppia cifra e in due sole settimane il numero dei deceduti ha già sfiorato la decina, non pochi quelli precipitati dalle finestre. Vittime della propria idiozia. Cioè, tutti conserviamo nella memoria l'immagine di quella volta in cui in gita di classe la bruttona ha minacciato di uccidersi gettandosi dalla finestra (del secondo piano, beata ingenuità) perché il tipo che le piaceva s'era chiuso in bagno con la più figa della classe o di quando per eludere la sorveglianza del prof in corridoio si passava di stanza in stanza dal lato dei balconi. Ecco, rapportate tutto questo a una popolazione di qualche migliaio di persone, in città dove gli alberghi raggiungono tranquillamente i 20 piani d'altezza. Ora aggiungete una spruzzata di Legge dei Grandi Numeri.
E' guerra civile, gente.

20 novembre 2011

Migrazione


Quattro giorni non bastano per conoscere una città, ma sono più che sufficienti per farsene un'idea. E l'idea, in questo caso, è che Sydney non fa per me. Tipo che se fosse una donna non mi piacerebbe, avremmo gusti diversi e probabilmente ci litigherei.
Mi era stato detto che prima o poi la domanda cruciale si sarebbe presentata, inevitabile ed allettante, ma non pensavo sarebbe successo così presto. Invece.

"Sud o nord?"

Questo Paese mette addosso ansie migratorie.
Quindi consultazione guida. Riflessione. Letture on-line. Confronto. Ri-consultazione guida. Domande in giro. Ri-riflessione.

Nord.

Una puntata a Byron Bay - combattuto tra i miei pregiudizi sulle spiagge da surfisti e l'aggettivo "imperdibile" che decine di racconti le hanno impresso sopra - poi a Brisbane, a fare base, terminare con le faccende burocratiche e magari cercar casa e lavoro. Poi si vedrà.

Lascio qui Ukkia, che ancora non ha smaltito il jet lag e credo stia lentamente prendendo la via del letargo. In ogni caso oggi ha trovato casa. Con una decina di koreani, tahilandesi e simili. Lui, inserito all'interno di un fragile ecosistema di valori orientali.
Tipo i pesci siluro nel fiume Po.
(in ogni caso va riconosciuto che, con tutti i difetti che noi due abbiamo, ci siamo distinti come veri signori nell'ostello di reietti in cui abbiamo vissuto finora)

Sta notte autobus, 12 ore di viaggio, la prossima fermata a 900 km da qui.

17 novembre 2011

Prove tecniche di trasmissione


Australia


24 ore di là dal mondo.
Dopo lo zaino stipato all'ultimo minuto, la notte da terremotato a Bologna, il tunnel di nebbia padana che ci ha condotto a Milano e il sosia di Ahmadinejad che ho fissato durante tutto il viaggio in navetta mentre, alle mie spalle, una pesante cadenza lombarda litigava con un tecnico TV.

Dopo l'attesa a Malpensa che alla fine si pensava peggio - con il socio che fissa come trafitto da luce divina i prezzi delle sigarette al duty free - e dopo un volo la cui traiettoria ho appuntato per filo e per segno per poi realizzare quanto fosse feticistico farlo. Dopo un film inglese sottotitolato in arabo di cui ho capito quasi nulla. E di quel poco mi piaceva quasi niente. Dopo Dubai, dove un doganiere ha attaccato discorso in arabo con Ukkia, prendendolo per mediorientale, e dopo che lui mi ha ricattato perché non lo raccontassi a nessuno.

Dopo le 14 ore e i 12.000 km quasi completamente dormiti del Dubai-Sydney, dove il tentativo d'approccio con "The tree of life" in lingua originale mi dà un principio di narcolessia. Dopo l'atterraggio, con Sydney che ci accoglie con la sua faccia da Londra tropicale rigata di pioggia e dopo Francesca, la ragazza italiana accompagnata all'ostello che, in pochi minuti, mi conferma quanto il proposito di evitare connazionali sia giusto e sensato.

Dopo l'arrivo in ostello, puzzolenti come mandriani, il brindisi all'arrivo e al futuro, i contrasti genetici stridenti con cui ci si trova faccia a faccia per la strada e la ragazza che chiede un braccio per aiutarla a scendere le scale, che assecondando la troppa sete si è trovata con le gambe tagliate e il pensiero malfermo. Dopo Ukkia e il suo primo impatto negativo con l'emisfero australe, lui che si alza per ultimo nella camerata, ha mal di testa, si fa di Tachifludec e sanguina dal naso come un dodicenne a primavera (non per forza in quest'ordine), che mi viene da pensare che se continua così forse bisognerà abbatterlo, che non si può farlo soffrire troppo.
Poi però si riprende.

Dopo la frutta che al supermercato si prende senza guanto, i matti scalzi, il pappagallo che strepita in pieno centro, gli inevitabili culi nudi nelle docce degli ostelli, la birra che costa troppo e il rosmarino che non c'è. Dopo i troppi "sorry?", la collezione di facce e voci nuove e la curiosità montante verso ciò che sarà.
Dopo la fugace comprensione dell'enormità che ho sotto mano e dell'imprevedibilità dell'avvenire.

Dopo tutto questo, e qualcos'altro, mentre scrivo, mi rendo conto - lentamente - di essere in capo al mondo.

8 novembre 2011

Inverno

Ho sempre amato l'inverno.
Anche quando è più corrosivo, col gelo che crepa le ossa e deterge i pensieri. L'ho sempre trovato temprante, purificatore, un confine che separa il vecchio dal nuovo, tonifica il corpo, strappa la vecchia pelle così che una nuova possa ricrescere addosso, indisturbata.
Sono rituali importanti, quando non si ha una religione in cui sperare.

Quest'anno però è diverso. Sarà lo spaesamento dovuto alla mancanza di traguardi segnati, sarà l'insoddisfazione, il sospetto latente di trovarsi sempre nel luogo sbagliato. Sarà la nebbia novembrina dentro cui certi pensieri si perdono senza saper più misurare la distanza da casa, come quel vecchio riminese di provincia dentro un film di Fellini. Sarà forse solo quest'inverno strano, che non vuol mollare il suo vestito d'autunno e lascia in bocca un sapore malinconico di decadenza senza fine, come un purgatorio senza uscita, prolungato per l'eternità.
Saranno cose di cui non si sa o non si vuol trovare il nome, che basta osservarne il profilo delle orme per capire che a seguirle non guiderebbero verso luoghi sicuri.

Sta di fatto che, a pensarci bene, questo sembra un buon momento per partire. Per scansare questo inverno strano, per lasciar che questa volta se ne resti qui. Solo. A passare.

7 agosto 2011

Muscoli tesi, mente altrove

Le ore spese ad aspettarti. Vite intere, orecchio teso, occhi bui.
Un suono, una parola, soltanto qualcosa che con la tua voce mi parli di me.
Ore bruciate tutt'intorno, ché so che sei ad anni luce da qui. Risate che si consumano lontano, sguardi mai colti, sopracciglia inarcate come piacerebbe a me.
Muscoli tesi, mente altrove. Un qui che non sta mai dove scelgo io, un tu che non ha mai gli stessi occhi che mi sogno davanti.
Lasciare che tutto bruci, perso nei miei impeti. In attesa che, domani, qualcosa accenda un altro fuoco. Fiamme voraci nate altrove, che sappiano consumare quest'attesa.

5 luglio 2011

La lunga notte che notte non è

La notte della Rete


Al servizio di una giusta causa, si riattiva questo blog in stato di semi-abbandono. La notte della Rete magari sarà superflua, ma sai mai.
QUI qualche informazione sul perché dell'incazzatura.

Dalle 17.30 alle 21.00 lo streaming qui:

Online video chat by Ustream

18 giugno 2011

Partire

C'è un pianeta lì davanti. E io sarei uno stupido, un perfetto stupido a non andare là a scoprire tutto ciò che mi aspetta nei luoghi in cui mi è capitato di non nascere. La mia fortuna consiste nel non avere perso per strada quella manciata di persone che del viaggio hanno fatto la loro vita. La mia fortuna consiste nel non aver mai smesso di ammirarle. E ora è sempre più vicino quel passo - quel ciao - da cui non sai dire se mai tornerai indietro. Non vedo l'ora. Lo scrivo per me.

4 marzo 2011

Cose di questo mondo

In certe situazioni c'è chi è bravo e chi no. Ad esempio io non so rapportarmi con l'incomprensibile. Metti i neonati. Sono totalmente incapace a comprendere questi abbozzi di esseri umani, queste macchie d'inchiostro schizzate sul diario dell'evoluzione.
Una cosa rosa e pelosa che frigna senza nemmeno saper cosa vuol comunicare, l'essere più perso di questo pianeta. Una persona appena imbastita, un abbozzo di futuro a cui si sono scordati di ordire le trame, un punto con due occhi interrogativi abbastanza stolti e impertinenti da aver l'arroganza di chiederti: "cosa ci fai, tu, al mondo?"