30 maggio 2012

Automotive

La ricerca è infine conclusa.
Ho una macchina.
Comprata da un 22enne tamarro dello Zambia studente di legge e scienze comportamentali. Un freak, sotto un certo punto di vista. Rivelatosi comunque il più affidabile tra i venditori fronteggiati finora.
(me l'ha confermato il mio meccanico di fiducia)
(ho un meccanico di fiducia)

E' stata un'immersione spasmodica in un mercato dell'auto - in una nicchia del mercato dell'auto - che un fastidioso rigurgito di realismo mi impedisce di definire vintage. Un mercato composto da mezzi usciti di fabbrica più o meno quando io credevo ancora a Babbo Natale, che portano i segni di alcune centinaia di migliaia di kilometri (il continente è di fatto grandino, le distanze incolmabili attraenti), che hanno visto pile di proprietari alte fino al cielo e pezzi di ricambio come piovesse. Veicoli dotati di un optional che ho scoperto molto comune nel settore automobilistico australiano: le vite infinite.
Mezzi che, fieramente, resistono.
Avete presente le macchine dei senegalesi?

Ecco.

Qua siamo noi i senegalesi medi. Davvero: siamo disposti a fare i lavori che i locali non vogliono fare, al solo fine di garantirci una ritaglio di visto in più; ci rifocilliamo a sorgenti di seconda, terza, ennesima mano, in ogni campo dello scibile, mettendo toppe alla filosofia consumista del nuovo o niente; viviamo, chi più chi meno, d'espedienti che forse solo ai tempi dell'università.
I tempi dell'università in un paese in tempo di carestia.

La differenza sta probabilmente nel fatto che noi ci si diverte, a vivere così.

E' insomma un ambiente particolare, questo con cui mi sono dovuto relazionare nell'ultimo periodo. Un mondo di squali, vagamente surreale, in cui è possibile imbattersi in annunci che recitano cose tipo:
"5 manth rego the engin ordy baran new ordy servic with mcanik good tayer not any oil lic good car CD player sony"
Tutto scritto col massimo candore, ne sono certo.

Comunque, dopo settimane spese nel tentativo di crearmi una improbabile competenza di facciata nel comparto automobilistico, ho infine trovato le quattro ruote che fanno per me. Ed è arrivato il tempo di cavarsi un po' di voglia d'asfalto.

Dopo i primi 300 metri di guida solitaria ho acceso l'autoradio. Springsteen, da dietro gli altoparlanti, mi ha dato il benvenuto.

Poi mi sono perso.


19 maggio 2012

A celebration of reason

Ora, non per far l'apologia dell'"all'estero si sta meglio" ma, ecco, se sintonizzando la tv su uno dei principali canali di news nazionali a mezzogiorno di un sabato mi imbatto in un programma chiamato Big Ideas, che trasmette estratti di interventi dalla Global Atheist Convention di Melbourne (sottotitolo: a celebration of reason), dove eminenti personalità arrivano impunemente a deridere l'idea di poter essere tanto ingenui da confidare nell'esistenza di Dio, penso proprio che, almeno per certe cose, all'estero si stia meglio davvero.

Me lo sono guardato tutto. E' stata una festa per l'anima.

Tra gli altri, c'era pure questo signore qui (highlight):



L'intervento integrale qui:




P.S.: poi, volendo, altri speeches di Dennet, a sto giro sottotitolati, li si trova anche su TED, per la precisione QUI.

10 maggio 2012

Up north

Whale shark

A sto giro l'inverno ha messo il naso fuori davvero. Piove in continuazione su Perth, e inizio a temere che le due Fruit of the Loom che costituiscono la sezione invernale del mio bagaglio non siano sufficienti ad affrontare il passaggio di stagione. Magari sovrapposte. Fortunatamente c'è Salvo's, che dal link in effetti non si capisce, ma la Salvation Army gestisce anche una pregevole catena di second-hand shops. Il che ha leggermente stemperato la nostra inimicizia. O almeno le ho perdonato i fantocci di Natale a Melbourne. Comunque non piove quasi mai nella pedalata casa-lavoro-casa. Il programma è di continuare a mantenere il clima dalla mia parte per un altro mese.
Poi è fatta.
Missione più che compiuta, d'altronde (in bozza ci avevo messo due apostrofi): sono arrivato a Fremantle con un solo obbiettivo inguainato tra le intercapedini dei neuroni: SOLDI. Il denaro scarseggiava abbastanza, a quei tempi. Diciamo che ero più vicino alla categoria homeless, che backpacker. Fortuna che c'è stato Simon. Ora me ne vado con soldi, amici e contatti in almeno un paio di continenti. Bilancio decisamente positivo. Poi c'è l'esperienza al Maya, che fa scuola a sé. Lì ho imparato che lavorare nell'hospitality può anche essere gradevole e rilassante. Fantascienza, in Riviera: certezze crollate, rivoluzioni spirituali, etc. D'ora in poi nuovi occhi per i ristoranti etnici.

In ogni caso, ultimo giorno lavorativo fissato al 3 giugno. Che un po' dispiace. Preparativi per il viaggio: in corso. Per modo di dire. Che a parte chiudere lo zaino e partire non è che ci sia da preparare gran che. Quel centro nevralgico della comunità backpacker australiana che è Gumtree si sta rivelando prezioso nel trovare compagni di viaggio. Unica cosa che conta.

Anche la rotta sta lentamente prendendo forma. O quantomeno un'idea di rotta: ho abbandonato da tempo la fede nel dettaglio. Tanto poi lo so che i piani mi saltano sempre. Tanto vale ridurre lo sforzo al minimo. Però c'è il fatto che in questo periodo gli squali balena fanno tappa a Nigaloo Reef - unico appuntamento fisso sul pianeta - per la riproduzione del corallo (una cosa schifosa, a guardarla dal punto di vista strettamente biologico) e quelli non li voglio perdere. Ho un po' questa necessità di trovarmi davanti a qualcosa di bestialmente imponente. La consapevolezza che poi quel qualcosa non mi considererà cibo potenziale mi sprona ulteriormente. Io, che non so nuotare (sguazzo) e - in generale - non mi fido gran che dell'ecosistema marino, sto mettendo in conto immersioni con ossigeno alla ricerca di pesci di 15 metri. Già.
A pensarci bene forse la cosa che dicevo dieci righe fa riguardo al pianificare potrebbe trovare nuova conferma.

Comunque l'idea grezza è chiara: risalire, up north, incrociare il Tropico del Capricorno a mezza via, deviare, zigzagare, seguire ispirazioni del momento, vedere dove porta la strada e infine, in qualche punto indefinito del calendario, avvistare Broome.

2 maggio 2012

Lei

Guen mi fa morire.
Guen che ogni giorno è già storia di ieri. Guen che mi è piaciuta al primo istante, che poi mi è parsa eccessiva, boriosa, che è finita nel mio letto senza che me lo aspettassi e poi ne è uscita con un addio.
Un addio tardivo, testimone una bottiglia di buon shiraz.
Guen che poi è ricapitata qui per un ciao, ma non l'ho persa per tutta una notte; che era a sud e poi di nuovo qui. Guen che è un mese, forse, ma pare una vita in quest'esistenza senza patria, dove tutto è concentrato sull'istante: cogli l'attimo, che tutto vola via. Guen, con cui ogni volta il bacio è uno sfiorare la guancia, au revoir, tacito accordo, che importa di domani, vedremo poi. Una storia parlata in una lingua approssimativa, castello in aria eretto su nuvole smilze di parole che nessuno dei due, potendo scegliere, userebbe mai. Relazione inevitabilmente precaria costruita su fondamenta di stranieri sguardi d'intesa. Guen, che amore non sarai mai, solo il mutuo accordo dello star qui, ora, che presto, o ancor prima, tutto sarà andato ormai. Saran ricordi, forse ancor meno; un concentrato di esistenza tra due passati incrociatisi per caso lì. Momento andato così, senza ieri a cui guardare e un futuro che, ci si scommette, non ci sarà mai. Che si viva adesso è l'accordo, domani chissà che faremo. E dove, poi. Chissà se in un diverso istante quell'alchimia si sarebbe creata mai.
Ma che importa, in fondo. Domani è già un giorno troppo in là.