25 novembre 2012

In attesa di conclusioni, consigli di lettura

Ovvero: un breve post autoreferenziale.

L'epopea australiana si è chiusa nel mondo reale, ma, dato che non so ancora bene come concluderla qui*, per ora prendo tempo, tratto d'altro e scrivo altrove.

Ad esempio si parla delle mirabolanti primarie PdL, sul Guazzetto Fazioso.

Oppure ci sono i post più o meno rieditati per Downunder Report, che va stupefacentemente avanti, quasi con ritmo, anche se non lo linko quasi mai qui.

Scrivere si scrive, insomma.
Alla prossima puntata.



(*) forse farò finta di niente e non la concluderò proprio.

4 novembre 2012

Di lande, vedute e molteplici passi


Un'altra cosa scritta altrove.

Sull'Australia, mappa romanzata di una nazione, parole buttate lì per abbozzare un'immagine, spingere a confrontare, ricordar qual è la ragione del viaggio.
Mi sia concessa la drammatizzazione.

"Australia mette addosso ansie migratorie.
È la tensione di strade dritte e vuote che tagliano le vastità, correndo solitarie tra la polvere del deserto.
È il richiamo delle foreste dell’est che sorgono appena fuori dai confini urbani, attanagliando le città con arborei artigli, imponendo costantemente [...]"
...continua su Anordestdiche

22 ottobre 2012

Sul decadere dei valori nella civiltà occidentale: mio nonno, Mr. Nobel e l'UE


Un post polemico e irridente con parentesi idealista sul recente premio Nobel per la pace all'Unione Europea, patacche adesive e mio nonno nell'inedito ruolo di metafora.

Per goderselo appieno fare un salto sul redivivo Guazzetto Fazioso, per la precisione QUI.

Bye.

19 ottobre 2012

Downunder Report

Downunder Report banner

Cose già scritte riscritte magari meglio,

cose non scritte e che appunto ancora non ho scritto,

cose già scritte riscritte pari pari.

E' appena nato, si chiama Downunder Report e sta dentro un posto che si chiama AND - A nordest di che.

L'ultima aggiunta alla mia collezione di velleità.

11 settembre 2012

Libera Baku ora [recensione]

More about Libera Baku ora

[nda: pubblico questo post anche per promuovere Anobii, scoperto da poco, che per chiunque ami leggere si rivelerà strumento assai prezioso. Ci si arriva pure cliccando la copertina qui sopra. Enjoy.]

Ucronia fantapolitica, psicoattiva e orientaleggiante, Libera Baku ora (d'ora in poi "LBO"), romanzo di Riccardo Pedrini, ex-Luther Blisset e attualmente Wu Ming 5, si inserisce appieno nel filone letterario cyberpunk.
Le vicende del romanzo si svolgono in doppia traccia nel 2020 tra Baku, città caucasica avvelenata e corrotta, e una Bologna ipertrofica, capitale di un'Italia guidata da una ossimorica dittatura libertaria fondata sulla visione politico/etica detta Retta Coscienza, dove il feng shui è scienza esatta e il punk pilastro culturale riconosciuto; in cui tutti sono liberi di fare quasi tutto, a parte negare l'apparato. Pena l'esecuzione simbolica e il reset definitivo.
Un mondo dove chimica e spirito si supportano e amplificano a vicenda e un Ku Klux Klan rivisitato in chiave imperialista è alla guida degli USA, sempre identici a se stessi.

Guerrieri neurali, fegati psichici, commesse di supermercato, un Presidente icona e una anchorwoman che ricorda Bianca Berlinguer in versione hardcore si muovono tra le pagine del romanzo, incrociandosi, evolvendo, contaminandosi.

Note dolenti: la struttura narrativa del romanzo si presenta come gioco di giustapposizioni e incastri, non sempre riuscito nel suo preteso effetto di rottura, dando piuttosto alle volte l'impressione di ingranaggi stridenti. Ciò anche a causa del mancato sviluppo di alcuni passaggi narrativi, che avrebbero magari meritato maggiore espansione e formano invece un intreccio tirato avanti, di tanto in tanto, a colpi di badile. La prosa manca di un colpo di lima, con periodi che spesso rinunciano a quel tocco d'incisività in più.

Nel complesso LBO è comunque un libro piacevolmente politico e scarsamente mainstream, le cui pagine scorrono bene tra le dita. Scritto nel '98, dà inoltre mostra di un'ammirevole lungimiranza nella visione dello sviluppo politico nazionale futuro. Un libro in grado di placare la sete di fughe meta-narrative, contaminazioni inaspettate e similitudini spinte. Tante quanti i granelli di sabbia del Gange.

Il romanzo è inoltre scaricabile, con licenza copyleft, dal sito di Wu Ming.

28 agosto 2012

Il volto del nemico


Finger food, sottofondo jazz e vassoi di champagne che fanno la spola tra giacche scure e tight, prede favorite di cravatte e papillon. I Tanks di Cairns sono l'equivalente queenslander dei magazzini del sale cervesi, solo più grandi. E postindustriali.
Il sipario nero si apre sulla band che attacca una rumba svelta, piatti su tovaglie scure, riflettori sparsi e centritavola le cui candele pendenti fanno del loro meglio per dare un'impressione upper-class. Prima che le posate inizino a lavorare feroci il Comandante in Capo sale sul podio, all'angolo del palco. Un discorso breve e sentito che parla di coraggio, risolutezza, forza.
Successo.
Dividendi, investimenti, azioni, guadagni.

È un piccolo ritrovo del Capitale quello che qui si offre alla vista. Festicciola autocelebrativa di una delle tante inconsce filiali del Sistema sparse per il mondo. Operatori finanziari che fanno a gara a chi fa più ore dietro la scrivania, che collezionano magre targhe utili a darsi un tono e coprirsi le spalle, che confrontano numero e corposità di transazioni, giocando al braccio di ferro dell'economia.

Hanno facce normali, tratti non particolarmente distintivi: pappagorge e vene varicose, guance scavate e gambe di merlo. A cambiargli i vestiti potrebbero essere chiunque, professori, contadini, salumieri, operai.
In realtà sono quelli che stringono i lacci emostatici delle nazioni. Sono quelli in grado di far crollare le economie.
Vedere il Nemico in faccia è sempre un po' deludente. Si mostra sempre un po' più piccolo, ottuso, un po' più umano di come te lo figuravi.

Il volto dei cattivi, nella vita reale, è di un'inaccettabile banalità.

15 agosto 2012

I neozelandesi

I neozelandesi hanno qualcosa. Qualcosa di strano, la cui incidenza sovrasta largamente ogni media statistica. Ognuno con un tocco, un segno variamente marcato che gli dona un'eccentricita' tutta particolare. E' una percezione che hai quando ci parli: appaiono come te, si esprimono come te, condividono con te buona parte del patrimonio genetico (molto piu' di quanto sarebbe opportuno aspettarsi a queste latitudini se non fosse per i passatempi coloniali dei nostri vecchi), ma.
Non e' tanto che manchi una rotella, quanto l'impressione che la' dentro ci sia qualche ingranaggio un po' sdentato, meccanismi differenti in movimento. Dev'essere qualcosa che ha a che fare con lo stare a cavalcioni sull'orlo del mondo, su uno degli ultimi avamposti del traballante Impero, affacciati su un Pacifico che non e' altro che un blu punteggiato di arcipelaghi distanti; manciata di uomini sull'ultima roccia, ai confini della mappa, che ancora ha senso chiamare stato. Ultimi coloni immersi in un ambiente dall'odore ancora primordiale, linea di trincea dove la Storia non ha mai concesso numeri sufficienti all'uomo per dominare.
Poi ti accorgi che a essere sbagliati sono i parametri.
E' una considerazione che emerge lenta. Verita' forse banale, ma mai constatata sulla pelle sinora: non e' solo il passato, la cultura, la societa'. E' anche, in primis, la terra su cui poggiano i piedi a dar forma a chi sei.

28 luglio 2012

On the boat


Il sole è ancora sotto l'orizzonte quando varco i cancelli di Clippers. Il grosso 4x4 Toyota dorme nell'oscurità, solo qualche brace di sigaretta guizza nel buio, a tradir presenza umana.
Sono in sei, già tutti lì.
Capannello di facce sconosciute, sei diverse nazionalità, io vado a completare il quadro. Sono saluti assonnati quelli che ci si scambia, strette di mano di poco conto accompagnate da nomi che escono come entrano, scarso è l'interesse a tenerli impressi, tutti sono con la mente già proiettata altrove.

Poche parole muovono l'aria che lungo il tragitto divide i due sedili posteriori del fuoristrada, disposti l'uno di faccia all'altro lungo l'abitacolo. Nel frattempo la strada asfaltata diventa sterrato, poi pista nel bush, riducendosi infine a due semplici tracce di pneumatici tra sabbia e rocce.
La barca ci attende a una decina di metri dalla riva, danzando appena tra le correnti lievi. Per raggiungerla si cammina fin dove l'acqua sfiora la vita, ci si issa uno alla volta, gli sguardi ancora più curiosi. Col motore a piena potenza più che navigare sembra di saltare da un'onda all'altra. Poco lontano un delfino ci marca stretto per un po'.
Saranno passati venti minuti quando avvistiamo per la prima volta la nave. E' più piccola di come l'immaginavo, penso che non deve essere il massimo della vita per i 36 che ci vivono dentro. Sarà anche per questo che sto lavoro non paga poco. A prenderci in carico è Rafi, timorese dal capello arruffato e un aspetto più da busker che marinaio. Volto a cui è difficile dare un'età, decido arbitrariamente che avrà giusto qualche anno più di noi.

Il lavoro è semplice, più di muscoli che altro. Schema da catena di montaggio, l'industria delle perle vista da dentro ha un aspetto molto meno romantico di quanto si possa immaginare. Passare ore a scrostar conchiglie a colpi di mannaia o a divellere molluschi armato di coltello non è tanto diverso dalle occupazioni tipiche di qualunque altra fabbrica. E' l'oceano indiano intorno a far la differenza, assieme allo sfiatar di balene che di tanto in tanto smuove l'orizzonte. Perché è tempo di migrazione e i cetacei affollano queste acque, muovendosi placidi verso nord.
All'ora di pranzo arrivano gli squali. Girano lenti attorno all'imbarcazione, in attesa dei resti del pasto che il cuoco di bordo scarica in acqua. E' meglio che le bestie stiano a pancia piena, per felicità loro e dei sommozzatori che nei dintorni curano le colture sommerse.

Braccia e mani dolgono quando nel pomeriggio si ripresenta la stessa barca del mattino. E' ora di tornare. Sulla via verso la terraferma tutti sono più attivi, sarà l'ora, sarà l'eccitazione della novità, comunque si scambiano più commenti, l'atmosfera è più rilassata, volano un paio di battute, anche chi non le capisce ride.
A un certo punto incrociamo la traiettoria di una coppia di balene che nuotano particolarmente vicine alla riva. Motore al minimo ci avviciniamo, in silezio le osserviamo passare. L'ultima fa un cenno di saluto sollevando uno spruzzo con la coda.

Questa la cronaca del primo giorno, il momento in cui tutto è novità. Poi col tempo anche le cose più sorprendenti si fossilizzano, lo sguardo prende le misure, lo stupore cede il posto alla routine. O almeno credo. Perché il secondo giorno passa tranquillo. Al terzo non sento la sveglia. Ci doveva essere una clausola riguardante ciò da qualche parte del contratto.

Vado nel Queensland, và.

4 luglio 2012

Aggiornamenti latenti.


Da scriverci una pagina al giorno, questa è stata la mia vita ultimamente. E di pagine ne sono passate, ma nessuna tenace abbastanza da scorrer giù dai polsi, arrivare a penna o tasti, fissarsi su carta o processore chessia. Pagine arrendevoli, lassiste abbastanza da non reclamar nessun supporto, rassegnate a rimanere aria di giorni passati, cose fatte, nomi e facce dimenticati on the road.
Quando lasciai Perth avevo un’intenzione chiara, definita: diario di viaggio. La dannata pagina la giorno, che meritasse o no. Esercizio di stile, manciata di minuti di stretching mentale quotidiano per coniugare kilometri e inchiostro in modo diverso da quanto fatto sinora. Ho scritto il primo giorno. E l’ultimo. Assieme. Poi mi sono ripromesso di colmare il gap. Poi penso che non lo farò.

Il tragitto Perth-Broome è stato una storia di 14 giorni e 4000 km; di highways e piste sterrate; terra rossa e gumtree; notti all’addiaccio e roadhouse profilatesi all’orizzonte, cariche di sollievo e attesa come oasi nel deserto. Storia di mostri su ruote, canguri vivi o meno, acquazzoni, nomadi grigi e ore di guida su un paesaggio drammaticamente sempre uguale. In quattro in una Falcon, atmosfere da beat generation mancate, memoria fallace che – ci scommetto - avvolgerà tutto in un’aura mitica che avrà probabilmente poco o nulla a che fare con ciò che è stato in realtà.

Eventi che, mi sa, non ha più senso tentar di raggranellare in ritardo: storia dai pochi fatti e molti dettagli, spesso persi in un attimo, nascosti bene quantomeno, che si faranno magari vivi di nuovo un giorno, inanellando ricordi, in qualche altro posto lontano da qui.

30 maggio 2012

Automotive

La ricerca è infine conclusa.
Ho una macchina.
Comprata da un 22enne tamarro dello Zambia studente di legge e scienze comportamentali. Un freak, sotto un certo punto di vista. Rivelatosi comunque il più affidabile tra i venditori fronteggiati finora.
(me l'ha confermato il mio meccanico di fiducia)
(ho un meccanico di fiducia)

E' stata un'immersione spasmodica in un mercato dell'auto - in una nicchia del mercato dell'auto - che un fastidioso rigurgito di realismo mi impedisce di definire vintage. Un mercato composto da mezzi usciti di fabbrica più o meno quando io credevo ancora a Babbo Natale, che portano i segni di alcune centinaia di migliaia di kilometri (il continente è di fatto grandino, le distanze incolmabili attraenti), che hanno visto pile di proprietari alte fino al cielo e pezzi di ricambio come piovesse. Veicoli dotati di un optional che ho scoperto molto comune nel settore automobilistico australiano: le vite infinite.
Mezzi che, fieramente, resistono.
Avete presente le macchine dei senegalesi?

Ecco.

Qua siamo noi i senegalesi medi. Davvero: siamo disposti a fare i lavori che i locali non vogliono fare, al solo fine di garantirci una ritaglio di visto in più; ci rifocilliamo a sorgenti di seconda, terza, ennesima mano, in ogni campo dello scibile, mettendo toppe alla filosofia consumista del nuovo o niente; viviamo, chi più chi meno, d'espedienti che forse solo ai tempi dell'università.
I tempi dell'università in un paese in tempo di carestia.

La differenza sta probabilmente nel fatto che noi ci si diverte, a vivere così.

E' insomma un ambiente particolare, questo con cui mi sono dovuto relazionare nell'ultimo periodo. Un mondo di squali, vagamente surreale, in cui è possibile imbattersi in annunci che recitano cose tipo:
"5 manth rego the engin ordy baran new ordy servic with mcanik good tayer not any oil lic good car CD player sony"
Tutto scritto col massimo candore, ne sono certo.

Comunque, dopo settimane spese nel tentativo di crearmi una improbabile competenza di facciata nel comparto automobilistico, ho infine trovato le quattro ruote che fanno per me. Ed è arrivato il tempo di cavarsi un po' di voglia d'asfalto.

Dopo i primi 300 metri di guida solitaria ho acceso l'autoradio. Springsteen, da dietro gli altoparlanti, mi ha dato il benvenuto.

Poi mi sono perso.


19 maggio 2012

A celebration of reason

Ora, non per far l'apologia dell'"all'estero si sta meglio" ma, ecco, se sintonizzando la tv su uno dei principali canali di news nazionali a mezzogiorno di un sabato mi imbatto in un programma chiamato Big Ideas, che trasmette estratti di interventi dalla Global Atheist Convention di Melbourne (sottotitolo: a celebration of reason), dove eminenti personalità arrivano impunemente a deridere l'idea di poter essere tanto ingenui da confidare nell'esistenza di Dio, penso proprio che, almeno per certe cose, all'estero si stia meglio davvero.

Me lo sono guardato tutto. E' stata una festa per l'anima.

Tra gli altri, c'era pure questo signore qui (highlight):



L'intervento integrale qui:




P.S.: poi, volendo, altri speeches di Dennet, a sto giro sottotitolati, li si trova anche su TED, per la precisione QUI.

10 maggio 2012

Up north

Whale shark

A sto giro l'inverno ha messo il naso fuori davvero. Piove in continuazione su Perth, e inizio a temere che le due Fruit of the Loom che costituiscono la sezione invernale del mio bagaglio non siano sufficienti ad affrontare il passaggio di stagione. Magari sovrapposte. Fortunatamente c'è Salvo's, che dal link in effetti non si capisce, ma la Salvation Army gestisce anche una pregevole catena di second-hand shops. Il che ha leggermente stemperato la nostra inimicizia. O almeno le ho perdonato i fantocci di Natale a Melbourne. Comunque non piove quasi mai nella pedalata casa-lavoro-casa. Il programma è di continuare a mantenere il clima dalla mia parte per un altro mese.
Poi è fatta.
Missione più che compiuta, d'altronde (in bozza ci avevo messo due apostrofi): sono arrivato a Fremantle con un solo obbiettivo inguainato tra le intercapedini dei neuroni: SOLDI. Il denaro scarseggiava abbastanza, a quei tempi. Diciamo che ero più vicino alla categoria homeless, che backpacker. Fortuna che c'è stato Simon. Ora me ne vado con soldi, amici e contatti in almeno un paio di continenti. Bilancio decisamente positivo. Poi c'è l'esperienza al Maya, che fa scuola a sé. Lì ho imparato che lavorare nell'hospitality può anche essere gradevole e rilassante. Fantascienza, in Riviera: certezze crollate, rivoluzioni spirituali, etc. D'ora in poi nuovi occhi per i ristoranti etnici.

In ogni caso, ultimo giorno lavorativo fissato al 3 giugno. Che un po' dispiace. Preparativi per il viaggio: in corso. Per modo di dire. Che a parte chiudere lo zaino e partire non è che ci sia da preparare gran che. Quel centro nevralgico della comunità backpacker australiana che è Gumtree si sta rivelando prezioso nel trovare compagni di viaggio. Unica cosa che conta.

Anche la rotta sta lentamente prendendo forma. O quantomeno un'idea di rotta: ho abbandonato da tempo la fede nel dettaglio. Tanto poi lo so che i piani mi saltano sempre. Tanto vale ridurre lo sforzo al minimo. Però c'è il fatto che in questo periodo gli squali balena fanno tappa a Nigaloo Reef - unico appuntamento fisso sul pianeta - per la riproduzione del corallo (una cosa schifosa, a guardarla dal punto di vista strettamente biologico) e quelli non li voglio perdere. Ho un po' questa necessità di trovarmi davanti a qualcosa di bestialmente imponente. La consapevolezza che poi quel qualcosa non mi considererà cibo potenziale mi sprona ulteriormente. Io, che non so nuotare (sguazzo) e - in generale - non mi fido gran che dell'ecosistema marino, sto mettendo in conto immersioni con ossigeno alla ricerca di pesci di 15 metri. Già.
A pensarci bene forse la cosa che dicevo dieci righe fa riguardo al pianificare potrebbe trovare nuova conferma.

Comunque l'idea grezza è chiara: risalire, up north, incrociare il Tropico del Capricorno a mezza via, deviare, zigzagare, seguire ispirazioni del momento, vedere dove porta la strada e infine, in qualche punto indefinito del calendario, avvistare Broome.

2 maggio 2012

Lei

Guen mi fa morire.
Guen che ogni giorno è già storia di ieri. Guen che mi è piaciuta al primo istante, che poi mi è parsa eccessiva, boriosa, che è finita nel mio letto senza che me lo aspettassi e poi ne è uscita con un addio.
Un addio tardivo, testimone una bottiglia di buon shiraz.
Guen che poi è ricapitata qui per un ciao, ma non l'ho persa per tutta una notte; che era a sud e poi di nuovo qui. Guen che è un mese, forse, ma pare una vita in quest'esistenza senza patria, dove tutto è concentrato sull'istante: cogli l'attimo, che tutto vola via. Guen, con cui ogni volta il bacio è uno sfiorare la guancia, au revoir, tacito accordo, che importa di domani, vedremo poi. Una storia parlata in una lingua approssimativa, castello in aria eretto su nuvole smilze di parole che nessuno dei due, potendo scegliere, userebbe mai. Relazione inevitabilmente precaria costruita su fondamenta di stranieri sguardi d'intesa. Guen, che amore non sarai mai, solo il mutuo accordo dello star qui, ora, che presto, o ancor prima, tutto sarà andato ormai. Saran ricordi, forse ancor meno; un concentrato di esistenza tra due passati incrociatisi per caso lì. Momento andato così, senza ieri a cui guardare e un futuro che, ci si scommette, non ci sarà mai. Che si viva adesso è l'accordo, domani chissà che faremo. E dove, poi. Chissà se in un diverso istante quell'alchimia si sarebbe creata mai.
Ma che importa, in fondo. Domani è già un giorno troppo in là.

25 aprile 2012

Era un giorno d'aprile



Non era che un giorno d'aprile, il giorno in cui prendemmo Torino e Milano.
Il giorno in cui nella fossa degli anni eran tutti, vincitori e vinti,
guance bianche, occhi spenti, i volti eran tutti gli stessi.
E allora meglio stringer ricordi, che grilletti.

20 aprile 2012

FAQ

Allo scopo di innalzare il livello qualitativo medio delle poche conversazioni che ho con gente in Italia, ho pensato di stilare questa lista di risposte alle domande che più routinariamente mi vengono rivolte. Anche perché la ridondanza mi sta logorando.
L'ordine è grosso modo quello di apparizione.
Ecco, quindi:

Bene, grazie. Abbastanza spensierato. Ancora a Fremantle. Da 2 mesi e un po'. Fino a fine maggio. Soldi. Non saprei dire. Sì, ancora con gli indiani. Benissimo, a parte che mi fanno cantare "happy birthday" ai compleanni. Abbastanza. Verso il sud-est asiatico. Da qui o da Darwin. No. Una bellezza nella media. Non quanto vi aspettereste. Me la cavo dai. No, senza dubbio non la definirei tale.

Spero di essere stato sufficientemente esaustivo.
Ciao.

4 aprile 2012

Turning gray

L'autunno è arrivato strano, qui sulla west coast.
Era estate, poi un giorno ha piovuto. E tutto s'è fatto grigio. E basta.
E' così da quattro giorni. Non che faccia freddo o che, solo l'atmosfera è un po' più plumbea, incombente; c'è l'aria di qualcosa d'imminente che per ora si accontenta di restar sospeso, fermo un metro dietro l'orizzonte, soddisfatto di minacciare, più che altro.
E' che il passaggio di stagione qui è diverso a quello a cui sono abituato. E' più sfumato, una curva leggera su quello che finora era un rettilineo a 35°C.
Sarà magari una questione di bioritmi, di istinti migratori sepolti nel dna, ma al contempo anche la permanenza prolungata inizia a farsi pesante, le correnti fanno un po' più presa, la sedentarietà, per quanto comoda, perde appeal.
Anche i branchi sono in movimento. Spostamenti su tutte le scale di grandezza: a breve le balene riprenderanno a sfiorare la costa, in rotta verso i Tropici, più in piccolo bruchi neri sono apparsi, ovunque, da qualche giorno. Meno affascinanti delle megattere, senza dubbio, ma anche loro a dar contibuto a questo pressante senso di ciclicità.
E io mi faccio un po' più dannunziano.

Sta di fatto che i granai sono ormai pieni, le scorte fatte, la strada sgombra. Una sottile insofferenza al quotidiano si fa strada nello spirito e i Supertramp e Giorgio Canali mi risuonano sempre più spesso nelle orecchie.
E' il mood del movimento, lo riconosco già.

30 marzo 2012

Again

Se c'è una cosa che non amo della sorte è il suo senso dell'umorismo.
Perché?
Perché sono dall'altra parte dell'Australia. In una cittadina che non arriva a 10.000 anime. E ho incontrato nuovamente Clemence.

18 marzo 2012

Una storia d'Italia


Il mondo è fatto di storie. Una a testa, non di più.
Alcune di queste, poi, hanno anche qualcosa da raccontare.
Se n'è scritto di là, lo riprendo qui:
Le ultime parole di un uomo.

7 marzo 2012

Welcome

Arrivare, come partire, è, prima che un atto fisico, una condizione mentale.
Pensa un po'.
Per andarsene da quella cosa che, a torto o ragione, chiamiamo casa serve una spinta al movimento, la tendenza all'altrove che nasce in qualche angolo remoto del cervello e cresce, si espande, finché non diventa intuizione, voglia, desiderio, decisione. Tutta roba che precede di parecchio valigie e biglietti e saluti e cose gettate dietro spalle proprie e altrui. E, ok, fin qui si sapeva.
Ma a sorprendermi è stato il fatto che anche l'arrivo preveda il suo iter mentale, non meno complesso. E una quantità di energia e risoluzione forse anche maggiori.
Non che mi aspettassi che la distanza tra i due capi del filo corrispondesse alla breve finestra di un volo intercontinentale e all'attraversamento di un paio di gate, no, sarebbe stato ingenuo, ma il fatto che la meta sia giunta a una tale distanza, temporale prima che fisica, ecco, mi ha preso un po' in contropiede.
Non sapevo che i chilometri mentali fossero così lunghi da macinare.

19 febbraio 2012

In direzione ostinata e contraria

Il torto più grande che si può fare ai propri maestri è quello di scordarne le parole.

Un tributo a Fabrizio De Andrè, da cui ho imparato che sono molti gli angoli da cui guardare.



14 febbraio 2012

Ho visto cose

Un ostello può essere: squallido, brutto, sporco, sciatto, malsano, degradato, disgustoso, fetido, rivoltante, orribile, ignobile, indegno.
Al 496 di Newcastle street, West Perth, si erge il Planet Inn, che non rientra in nessuna di queste categorie.
Il Planet Inn è surreale.

Il cuore pulsante del Planet Inn è l'ufficio. L'ufficio è la chiave di tutto. Nell'ufficio è sotto chiave tutto. Una stanza sola che è al contempo reception, studio, deposito padelle, area colazione, emporio.
Se l'ufficio è chiuso non puoi fare praticamente niente.
L'ufficio è quasi sempre chiuso.
Il Manager è un tizio con tratti indigeni e un fisico da ex-pugile. Non so come si chiami. Nessuno lo sa. Quello che tutti sanno però è che lui ha le chiavi dell'ufficio. Il Manager non c'è quasi mai.

Toilette, nel suo angolo migliore
Quando entri al Planet Inn la prima cosa che vedi sono le stanze. Non so gli altri, ma io non ho mai avuto una chiave. D'altra parte sarebbe stata superflua: le porte sono sempre aperte, al Planet Inn. Per ovviare alla questione della sicurezza in ogni camera sono collocati dei locker dove poter riporre gli oggetti di valore. Se però hai un cacciavite puoi smontarne la serratura.

La seconda cosa che vedi al Planet Inn sono i bagni. Ci sono avvisi strani, nei bagni. Mentre ci pensi ti lavi le mani e il sapore ha il colore del detersivo per piatti. Lo annusi e ha l'odore del detersivo per piatti.
No, i sensi non ti ingannano.

Poi ci sono le docce. Le docce sono due, ma solo una ha l'optional: la porta.
Nelle docce, sotto il consueto avviso che invita a contenere il consumo idrico, è situato un lavandino. Dal rubinetto scorre acqua corrente. Ad libidum. Non lo puoi chiudere quela lavandino. Quel liquido è destinata a scorrere, da tubo a tubo, per l'eternità. Molti hanno provato a fermarlo, ma nessuno ce l'ha mai fatta. E' la spada nella roccia dello spreco idrico. Come quelle fontane che c'erano una volta agli angoli delle strade che stavano sempre aperte. Per far bere i cani, ho sempre ipotizzato. Ora non ci sono più: le hanno chiuse o munite di rubinetto. I cani invece ci sono ancora. Sillogismo: al Planet Inn i cani non sanno aprire i rubinetti.

Inquietanti avvisi nelle toilette

Angolo cottura
Al Planet Inn c'è anche una cucina. Ma se vuoi cucinare ti servono le padelle dell'ufficio. Se l'ufficio è chiuso, come sua prerogativa, le opzioni sono due: o non cucini o ti arrangi con i padellini. Credo ci sia stato un tempo in cui i padellini erano muniti di una copertura antiaderente in teflon. L'ho dedotto dalle labili tracce rimaste. I padellini sono il manufatto più inadeguato all'uso preposto che mi sia mai capitato di maneggiare in vita mia. Se poi sei fortunato trovi anche piatti e posate. In cucina si lava tutto prima di usarlo, anche se in teoria è già pulito. E' un posto che ispira diffidenza. Sarà che se cucini la sera devi fare la gimkana tra gli scarafaggi.

Al Planet Inn, quando si va a dormire, non tutti vanno in stanza. Alcuni, in base a una gerarchia che mi è tutt'ora oscura, dormono in corridoio, o in sala TV. Usualmente hanno il materasso, ma pare non sia un diritto inalienabile, ho scoperto:

Degrado

Io ce l'avevo una camera, e pure un letto con un materasso. Un po' sfondato, ma comunque materasso. Ero un aristocratico, al Planet Inn. Quello che però non avevo era una federa per il cuscino. Così sono andato a cercare il Manager, che in quel momento c'era. L'ho scovato in cortile, poco lucido, che parlava con un inglese totalmente fradicio. Avevano molte cose da dirsi. Nell'attesa ho cercato di individuare in cielo la costellazione di Orione, che è l'unica avvistabile da entrambi gli emisferi, mi hanno detto. Non l'ho trovata. Sarà che non so molto bene com'è fatta.
Dopo 10 minuti, il Manager è prontamente accorso in mio aiuto. Mi ha chiesto di vedere il cuscino. Io gli ho fiduciosamente mostrato il mio guanciale sfoderato, confidando nelle sue capacità manageriali. Lui si è guardato attorno, ha afferrato con nonchalance una t-shirt che in tutta evidenza qualcuno aveva messo lì ad asciugare e me l'ha porta, sorridendo. Era pulita, della misura giusta per il mio cuscino. L'ho presa, ho sorriso e ringraziato.
Perché è lì che ho realizzato che quella non poteva essere la realtà.

Cuscino immagliettato

5 febbraio 2012

In memoriam


Un post nostalgico, sul Guazzetto.
Per non dimenticare.
QUI.

L'isola più a sud - parte2


...e cioè, questo post doveva andare avanti con Hobart che mi piace e poi non mi piace e poi mi piace ancora e alla fine non lo so se mi piace o no; doveva parlare dei pasti di Clemence che assomigliano tutti a colazioni e di come fossi più o meno riuscito a liberarmene e evviva e praticamente la biasimavo solo a tempo perso, tanto per gradire; poi parlavo magari di quel signore con una brutta tosse e con la tazza con su scritto Colin, che è il nome dell'uomo, non della tazza, che assomiglia incredibilmente a Giorgio Canali (l'uomo, non la tazza); parlavo degli asiatici che ho frequentato ultimamente, che le ragazze sono più aperte, mentre con gli uomini sembra un po' una questione tribale e fa un po' impressione e, alla fine di tutto questo, c'ero io a Bruny Island - atollo a sud della Tasmania - e questa cosa simpatica dell'isola a sud dell'isola a sud dell'Isola a Sud, che poi sarebbe l'Australia, e tutto si concludeva con questa inquadratura hollywoodiana di me che scrutavo la distesa d'acqua oltre la quale sta solo l'Antartide e tentavo, tentavo davvero, di vivere la magia del momento, ma poi alla fine non mi pareva avvincente sto gran che. Applausi.

O quantomeno il copione era all'incirca questo.

Poi però in Tasmania non c'è gran che lavoro ed è pure brutto tempo, quindi le uniche due attività praticabili in questo enorme e carino nulla, che sarebbero escursionismo e trekking, non si possono fare e quindi io aspetto i miei nuovi occhiali tipo Herry Potter e vado a Perth, e forse non mi dispiace nemmeno.

The end.

29 gennaio 2012

L'isola più a sud - parte1


26/01

Mentre mi fisso i piedi, seduto su un sedile del 109 per Port Melbourne, do la nave ineluttabilmente per persa. Così invece non fu. Il nostro ritardo rispetto agli orari d'imbarco era tale che probabilmente anche il brucomela ci avrebbe lasciato a piedi, l'imbarcazione però ci aspetta, comprensiva. Salgo a bordo talmente trafelato che non mi preoccupo nemmeno di accordare i tempi verbali.

9 ore dopo la Tasmania ci accoglie con un'aria pesante e grigia da distretto portuale. Siamo in due: io e Clemence, una belga non particolarmente bella, non incredibilmente simpatica e, sospetto con forza, nemmeno spiccatamente intelligente. Clemence fa parte di quella categoria di backpacker che per vari motivi disprezzo: gente per cui i luoghi nuovi si riducono a cornice dello schermo del laptop, mammoni erranti, mostruosi prodotti della digitalizzazione globale. Clemence attacca pezze spaventose a ogni francofono che incontra. Clemence non sa fare niente. Clemence è l'eredità lasciatami da Ukkia&friend dopo la spedizione sulla Great Ocean Road (che ha meritato, nonostante la perfettibile crew, il troppo italiano e le eccessive foto di gruppo dove nascondo il disagio da posa dietro espressioni boriose).
In fondo non è che Clemence non mi piaccia come backpacker: non mi piace proprio come essere umano. Il caso ha però fatto coincidere le nostre strade per qualche giorno. E' questo che non amo del caso: è un tizio poco sensibile verso i gusti altrui.

Ok, era uno sfogo.

Tornando alla Tasmania: dopo aver guadagnato nuovamente la terraferma ci incamminiamo verso il centro di Devonport. Zaini in spalla, attraversiamo il ponte che collega le due sponde del fiume, passiamo un negozio di pneumatici, un benzinaio, una libreria specializzata in bibbie, un negozio di pneumatici, un convenience store e un negozio di pneumatici. Gli penumatici vanno forte da queste parti. Oggi è l'Australia Day, tutto è chiuso, desolato. Pare d'essere in una canzone degli Offlaga Disco Pax.
Il primo ostello che incontriamo ha disponibilità di letti. Facile. Il posto è piccolo, pulito, la gente pare più amichevole, più ricettiva rispetto a quella che sta nei grandi ostelli delle grandi città. Sarà che in sta cittadina o ti fai spalla a vicenda o davvero rischi la morte per apatia. In bagno c'è un ragno grande metà del mio palmo. Si chiama Ed. Ci fermiamo solo per la notte, domani partiamo per Hobart.


27/01

Il primo autobus per Hobart invece di partire alle 11, come indicatoci, è posticipato alle 17. Disappunto.
Scrivo da clandestino, agganciato abusivamente al wi-fi nemico di un McDonald dove la qualità della connessione è pari a quella dei panini, mi annoio, conto le ore che mancano alla partenza ed escogito piani per seminare Clemence.

continua

25 gennaio 2012

Portaburro in argento blasé


L'impressione è quella di perdere i lacci.
Guardi il tuo paese da lontano e non riesci più a capire tanto bene come funziona. O quantomeno non ci riesci bene come prima. Sarà che è un universo complesso, fatto al contempo di Monti e di Schettino, di taxisti, di notai e gente in piazza coi forconi, di barconi e di crociere, di sì e di no sugli stessi argomenti, a volte con alle spalle le medesime argomentazioni. Un microcosmo che richiede dedizione, che non si fa interpretare dal primo che passa, che bisogna saper leggere tra le righe delle note a bordo pagina, nelle scritte sui muri dei cessi pubblici, a volte sugli striscioni in curva degli ultrà. Non basta mica sfogliare ogni tanto qualche blog e dare saltuariamente una sbirciata a Repubblica.it.
La testa dell'Italia concede sì la comprensione, ma pretende l'anima in cambio.

L'impressione è quella di perdere i lacci, di essere un pezzo dell'imbarcazione alla deriva, componente magari piccolo e secondario, tipo un portaburro, attraccato su isole lontane e proiettato entro altre dinamiche, elemento a se stante, preso da altre cose, ormai scialuppa, a modo suo.
Poi però incontrando connazionali lungo la strada ti rendi conto di avercela sempre sotto gli occhi, l'Italia. Ci metti un po' a capirlo, è un cambio di prospettiva, come Street View di Google Maps: non hai davanti l'attualità, ma frammenti storicizzati del Paese, cose che erano lì, ci sono ancora e probabilmente ci saranno anche domani. Sono fotografie, scorci di italianità. Ne trovi di ogni, dallo smargiasso cazzo-mi-frega che tanto lo so io come va il mondo alla testa brillante e timida fuggita da qualcosa e persasi per la strada; dal gretto e ignorante allo sgamato e scaltro; dal pizzaiolo all'ingegnere; dal siciliano all'altoatesino. E ognuno diventa a suo modo archetipo, portabandiera, ambasciatore di pezzi di storia, cultura e tradizioni radicate a fondo, che vedi trapelare nei discorsi, nelle cadenze e nei dialettismi, patrimonio involontario che a volte si mostra fugace tra i movimenti delle mani.
Quando andiamo via di casa ci portiamo dietro, tutti, un bagaglio molto più ingombrante di quello che sta in valigia. L'impressione è quella di perdere i lacci, ma in realtà è prorio un pezzo d'Italia che si stacca e viene via con te.

15 gennaio 2012

Anatomia approssimativa

Le note di un vecchio pezzo dei Rancid si fanno strada nei due padiglioni. Ancora fremiti d'aria corrono nelle cavità auricolari, scavalcano martelletto e tamburo, si fanno impulsi elettrici e s'incrociano infine a metà strada, in qualche punto remoto del cervello, dove con una scintilla innescano un ricordo, che a sua volta accende un sorriso.
E con sto sorriso ti lascio, mia bella Melbourne.
Mi sei piaciuta tanto, ma è ora di andare. Le suole delle scarpe prudono già da un po' e le spalle son troppo leggere, allo zaino di star lì prender polvere non sta bene.

A voler essere più poetico direi che è stato il vento a sussurrarmi di partire, ma qui il vento è logorroico, di cose ne dice tante, certi giorni te le strilla nelle orecchie, dopo un po' ti ci abitui, diventa rumore di fondo, non lo ascolti più.
La Great Ocean Road languida attende davanti, con vecchi e nuovi compagni di viaggio, e le tasche fremono nell'attesa di un biglietto per saltar da un'isola all'altra, di sud in sud, a vivere un po' di foresta, che di asfalto se n'è già visto abbastanza.

Amo terribilmenti questi giorni del prima di partire.

4 gennaio 2012

chi sei tu Mnemosynè?

Sirene


Sono stato indeciso fino all'ultimo se metterlo di qua o di là.
Alla fine l'ho messo di là. Sono certo che si troverà bene.

Ah, poi ho anche iniziato a ripubblicare su Scambieuropei, tanto per.