26 agosto 2010

Bestie!

Locandina Circo

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Per gustare appieno il post si consiglia ai gentili lettori di dare un'occhiata ai commenti, lì troverete un fondamentale contributo (almeno per chi vive in provincia di Cesena, o per chi cerca ispirazione).
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Ok, lasciamo pur da parte tutta la retorica riguardante il ritorno alla vita selvaggia. Gli animali che "lavorano" nei circhi sono per la maggior parte nati in cattività e in cattività moriranno. Se a qualche folle domatore venisse per caso in mente di liberare le proprie bestie nella savana dopo un'esistenza passata in gabbia queste avrebbero vita piuttosto breve a causa della loro totale incapacità di rapportarsi all'ambiente. Sempre che non venissero stroncate prima da una qualche malattia, magari comune per quelle latitudini, che il loro sistema immunitario - anch'esso in cattività - non sarebbe però in grado di fronteggiare.
Quindi gli animali in gabbia rimarranno in gabbia, l'unica cosa che si può pretendere è che la loro residenza tra le sbarre sia resa un po' più gradevole. Un ottimo esempio di come i più elementari criteri di sensibilità ed empatia verso gli animali possano essere totalmente ignorati lo dà Tom Rider, nel video qui sotto. Rider, ex-dipendente del circo Barnum, scelse di intraprendere la carriera di circense per poter dare sfogo al suo profondo amore per gli animali, dimostrando in questo modo una scarsissima oculatezza. Tralasciando comunque il ridotto senso della realtà di Rider, le sue parole e le immagini che le accompagnano sono l'ennesima prova di ciò che tutti, a parte i più illusi già sanno: i circhi sono lager, sono tante piccole Guantanamo per gli animali che lì vengono detenuti e costretti a esibirsi, addestrati a colpi di frusta e bastone, domati a suon discariche elettriche, altro che amore e passione. Animali che, nelle interminabili ore che passano al di fuori della pista, conoscono solo il ristretto universo concessogli dalle poche maglie della catena che li lega, che hanno a disposizione solo lo squallido panorama a strisce che sta al di là delle sbarre.

L'ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) ha stilato un interessante documento, breve ma esauriente, dove analizza la situazione dei circhi italiani, presentando una situazione decisamente grigia. In un'Italia dove i teatri d'opera faticano a tirare avanti lo spettacolo itinerante trae enorme beneficio dagli introiti pubblici derivanti dalla quota del FUS (Fondo Unico dello Spettacolo). Si elencano inoltre, dati alla mano, gli animali detenuti nei circhi, se ne descrivono le condizioni di trattamento e si presentano le idiozie legislative che rendono facile la vita ai circensi, permettendogli sostanzialmente di fare dei loro animali ciò che preferiscono.

Detto questo, se volete andare al circo andate pure. Tenete solo presente, dopo il numero degli elefanti, dei leoni o dei cavalli, quando gli applausi si levano sonori sotto il cielo del tendone, che ad ogni battito di mani corrisponde una frustata, passata o futura poco importa, in ogni caso quella frusta l'avete pagata voi.


P.S.: in questi giorni nell'area di Cesena si sta avviando una raccolta firme volta a contrastare questo genere di pratiche inumane, se avete modo aggiungete anche il vostro nome alla lista. Costa zero, richiede un attimo e garantisce un posto in paradiso!



21 agosto 2010

Il frinire del Grillo

Domani Arcoiris

Paolo del Debbio mode: ON.
Questa volta si gioca a fare gli opinionisti. O, quantomeno, si butta lì qualche riflessione, con la presunzione che magari a qualcuno possa anche interessare. Ma valutate voi.
L'articolo sta, come sempre, QUI.

17 agosto 2010

Quando muore un mandante

Quando muore un assassino noi ricordiamo le vittime

E' morto oggi all'ospedale Gemelli di Roma, dopo 9 giorni di convalescenza, l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Speriamo almeno abbia sofferto. In ogni caso sarà sempre solo una magra e tardiva consolazione.
Questo post serve a controbilanciare, almeno un poco, tutte le lacrime di coccodrillo in arrivo. Serve a ricordare che oggi è morto Francesco Cossiga, l'uomo che faceva sparare nella schiena ai manifestanti. L'uomo che mise la firma sul piano d'azione che portò alla morte, a Bologna, di Francesco Lorusso, 25 anni, l'11 marzo 1977 e di Giorgiana Masi, 19 anni, il 12 maggio dello stesso anno.
L'uomo che, il 22 ottobre 2008, quando un giornalista del Quotidiano Nazionale gli domandò se Berlusconi avesse esagerato nel minacciare l'uso della forza contro le manifestazioni studentesche, rispose:
«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito... Gli universitari, invece, lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri. Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!. Questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio»
L'unica cosa che mancherà davvero di Cossiga sono tutte le verità che si è trascinato nella tomba. Chissà quanti, oggi, apprendendo la notizia, si sono sentiti un poco più sollevati.

Addio K, salutami i diavoli dell'inferno.

10 agosto 2010

Shanghai

Imbarcazione di clandestini

Shanghai. Una manciata di shangai gettati a caso tra i flutti. Fatti di pelle e sangue, sì, ma comunque appartenenti più al mondo dei numeri che a quello degli umani, contraddistinti più da colore e provenienza che da singoli volti e nomi. Chi ha mai conosciuto anche solo un nome tra quei tanti divorati dal mare? Mare Nostrum, lo chiamavano. Ora forse ne hanno più diritto loro che noi, foss'anche solo per numero di presenze. Sui fondali. Oppure, al contrario: nostro il mare, nostri i morti. Si faccia una scelta.
Stiamo parlando di gente, gente vera in fuga da una miseria verso un'altra, gente con facce, occhi, denti, scarpe, rabbia, una foto infilata in una tasca e la paura che attanaglia il cranio al pensiero di avere fatto un madornale errore. Gente dubbiosa se partire o meno, se abbandonare tutto sperando in qualcosa di meglio: in un alloggio di fortuna in una stanza sovraffollata e qualche moneta da rispedire a casa per non obbligare altri a questa grigia odissea. La gente cola a picco e si discute ancora sul rispetto di accordi, ci si rimpallano responsabilità, si puntano indici accusatori verso tende di lusso piantate al di là del mare. Il ministro degli Interni Roberto Maroni nega l'aumento di sbarchi: "I numeri lo smentiscono". Numeri, cifre, percentuali.
E invece sono facce. E', ad esempio, il volto del pakistano trovato morto sulla costa del catanzarese venti giorni fa. O quella di uno di quei cinque che un mese fa, al largo della Spagna, si sono trovati sulla barca sbagliata, due dei quali attraversavano il mare ancor prima di aver imparato a camminare. Per non parlare di tutti i senza nome trascinati in fondo a quel cimitero che è il mare al largo di Lampedusa. Ma quello che qui si vuol dare non è l'ipocrita tocco tragico fin troppo comune nei media italiani, quanto piuttosto una piccola idea, la vaga percezione della differenza tra una cifra ed un uomo. Impresa difficile, forse al di sopra della capacità di chi scrive, me ne rendo conto.
Il punto è che si potrà cercare in tutti modi di impedire ai clandestini di arrivare, che tanto ci proveranno lo stesso, troveranno nuove rotte. E se non potranno più venire qui andranno da un'altra parte, dove magari tutto è ancora più difficile e la morte passa un poco più vicina, ma dove comunque c'è qualche speranza in più rispetto a casa propria. O anche solo qualche grammo di terrore in meno. Non è resistenza ma esitenza. Dallo spirito di ribellione si può anche desistere, cedere, finendo totalemne piegati, ma la sopravivenza è un'altra cosa, sta scritta in ogni filamento di DNA. Ci si può far plagiare l'anima e i principi ma non ci si lascerà mai strappare la pelle di dosso. Non è una cosa che si può contrastare o regolare con leggi, accordi o comandamenti perchè è inamovibile, radicata là sotto dove dovrebbero aver radice i più profondi valori umani.

Il ministro degli Interni Roberto Maroni nega l'aumento di sbarchi: "I numeri lo smentiscono".

Dovrebbero.

3 agosto 2010

Chi non chiude si rivede

Emergency logo

Ricordate l'ospedale di Emergency a Lashkar-Gah, in Afghanistan? Dai, quello chiuso dopo il sequestro dei tre operatori Emergency Marco Garatti, Matteo dall'Aira e Matteo Pagani? Quelli poi probabilmente rilasciati in cambio di tale chiusura? Su, un po' di sforzo mnemonico... Ne avevano parlato tanto i telegiornali! Articoloni sui quotidiani... Noi se ne era parlato QUI. Ecco, sì, ci siamo, quello. Ha riaperto. Il 29 luglio scorso. A comunicarlo è Cecilia Strada, ecco le sue parole:

Cari amici,

siamo molto felici di annunciarvi che giovedì 29 luglio abbiamo riaperto il Centro chirurgico di Lashkar-Gah.
Un giornalista ci ha chiesto "Perché?". Ma la risposta la sapete già: perché è il nostro lavoro, perché quell'ospedale serve, perché è l'unica struttura gratuita nella regione, perché quell'area è teatro di una guerra sempre più violenta, perché i 70 letti delle corsie - da quando è stato aperto e fino al giorno della sua forzata chiusura il 10 aprile scorso - sono sempre stati pieni. Perché la popolazione ne ha bisogno: e noi non abbiamo bisogno di altri perché.

Ancora grazie per il vostro sostegno.
A presto,

Cecilia Strada
Presidente di Emergency

QUI il comunicato stampa.

2 agosto 2010

Bologna, trent'anni dopo

Orologio stazione Bologna

Il ricordo di Ustica era ancora caldo. Il piombo continuava ad aleggiare nell'aria. Sono passati trent'anni da quella bomba che il 2 agosto 1980 bloccò l'orologio della stazione di Bologna sulle 10.25. Si sa abbastanza precisamente, indipendentemente da condanne e ricorsi, chi ha mosso le mani per dare il via a tutto questo. Non è ancora chiaro chi ha mosso le persone. Il Memoriale della strage del 2 agosto 1980 nella sala d’aspetto della stazione di Bologna diventerà patrimonio Unesco per la cultura della pace, ma in fondo, dal mio punto di vista, non è che un palliativo. La legge del 2007 sul segreto di stato prevede che questo debba decadere dopo 30 anni. Staremo a vedere se ciò avverrà veramente e se, magari, si riuscirà a estrarre un nuovo brandello da quelle macerie sotto cui, da tanto tempo, è stata sepolta la maltrattata verità.

Volendo approfondire, un salto in libreria non costa nulla. Ad esempio si potrebbe partire da QUESTO.

1 agosto 2010

Morte inconsapevole di un reporter di guerra

embedded journalist

Non sempre cambiamento significa catastrofe, e comunque non sempre la catastrofe, quando si presenta, è così evidente come ci si aspetterebbe. A dimostrarlo è Mimmo Càndito, oggi, su "la Stampa".
Esattamente vent'anni fa Saddam invase il Kuwait, accendendo la miccia di quella bomba militare e mediatica che sarebbe poi divenuta famosa col nome di guerra del golfo. La prima "guerra da divano" che avrebbe inaugurato una nuova, fruttuosa via per l'informazione militare. Quel giorno il reporter di guerra ha smesso di esistere. La parola stampata soverchiata dall'esplosività dell'immagine televisiva, l'informazione quasi schiavizzata da uno stato maggiore che, dopo la fallimentare esperienza vietnamita, ne conosceva il potere. E la pericolosità. Un uomo di nome Arnett che, senza saperlo, era arma in mano al potere. L'invenzione dell'embedding e della comunicazione "impacchettata", strumenti ancora oggi largamente utilizzati. Ma il disequilibrio tra poteri non può durare per sempre, così oggi da menti brillanti (con palle quadre) nascono nuove idee, creando innovativi, fiammeggianti scenari nel panorama dell'informazione mondiale. Tanto per dire nasce Wikileaks, nessuno dei cui collaboratori ha probabilmente mai calpestato la sabbia dei deserti afghani, ma che ha saputo svelare segreti che nessun inviato, più o meno ostinato che fosse, era mai riuscito nemmeno a immaginare.
Ma ora basta parafrasare. Leggete questo articolo. Ne vale la pena. Garantito.