15 dicembre 2011

Io in: "Io vs. il pianeta che mi circonda"

Rispettabili individui

Tratto da una storia vera.

Ora sono una persona ammodo. Ho un conto in banca, la tessera dei mezzi, pantaloni con la piega e di tanto in tanto leggo gli editoriali dei quotidiani, quando li trovo in giro. Ho anche un lavoro rispettabile, sebbene all'inizio sarei stato disposto ad accettare qualunque impiego, anche il più squallido e umiliante, chessò, l'uomo sandwich, il venditore di bibbie o la maestra elementare.
Il momento peggiore dell'essere nuovo però, l'archetipo del malessere esistenziale da sindrome dello straniero, si configura per me in un momento particolare: il primo giorno in un ostello nuovo in una nuova città. Me lo vivo come il primo giorno di scuola.
O di guerra.

E' che tutto a un tratto ti trovi scaricata sulla schiena un'enorme dose di sconosciuto. Tutta assieme. Roba da rimanerci schiacciato sotto. Quindi è normale che il cervello metta in atto una qualche strategia per mettersi al riparo da questo enorme "cos'è?" che gli frana addosso.
Il mio, di cervello, si mette sulla difensiva.
E lo fa nel modo peggiore.
Mi guardo attorno, scruto volti sconosciuti e mi sembrano un po' tutte facce da stronzi; facce che chiacchierano a coppie o capannelli nel loro perfetto inglese (o almeno tale mi pare: la soggezione linguistica fa parte dello schema) e penso che sarò spacciato, condannato alla solitudine eterna, inchiodato alla gogna della pubblica indifferenza. Per i tempi dei tempi dei tempi.
Nei corridoi striscio lungo i muri come un'ombra, non sono più un essere umano ma solo un guscio imbottito di autocommiserazione e sconforto, sono un naufrago alla deriva su uno sgangherato io in mezzo ad una tempesta di umana incomprensione. Una storia di miseria. Penso alle battute bellissime che farei con i miei amici ultra-lontani e sorrido da solo. Mi mancano tutti. Pagherei per 5 minuti di pezza da parte di gente che a casa non mi sognerei nemmeno di sentire via sms. E, come se non bastasse, continuo a comprare acqua gassata per errore.

Insomma, la vivo malissimo.

Vado avanti così, granello di polvere abbandonato da Dio e dagli uomini, per un arco di tempo che va dalle 2 ore ai 2 giorni, lasciandomi macerare tra i miei "tutticoglioni" e "cazzocistoafarepoi". A un certo punto, però, la luce. Che sia grazie a una tipa che in cucina mi chiede il pepe, che non ho, o per un tizio che fuori tenta di scroccarmi una paglia, che non ho, ma ecco che la bestia sociale esce dal letargo che avevo preso per decesso, i meccanismi dell'integrazione, dati per spacciati, si rimetto lentamente in movimento e la trincea che avevo eretto contro il pianeta si sbriciola un pezzo alla volta.
Tiro un sospiro.
Anche questa volta il pericolo eremitaggio è andato.
Ma era solo una battaglia. Non credere, mondo: io e te ci incontreremo ancora.

2 commenti:

  1. that what i felt in every single new place.
    e la parte migliore per me é quel lampo che attraversa la mente, tra l'incomprensione totale e la richiesta di pepe in prestito.

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  2. Mi sono sentita esattamente così. L'anno scorso. A Ginevra. Il mio "arco di tempo" è durato 2 mesi. Ma alla fine ce l'ho fatta!Cosa ho imparato?La prossima volta probabilmente cercherò di impiegarci meno tempo ;)

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