16 luglio 2010

Sui muri continua la resistenza

Un giorno qualcuno, con la mano sporca di colore, tracciò d'istinto dei segni sulle mura di una caverna. Rappresentò ciò che conosceva meglio: sé stesso, le proprie abitudini, la propria vita. Il concetto di "arte" sarebbe giunto millenni dopo. Poi lo spostamento di senso, dal conosciuto allo sconosciuto, dalla riproduzione all'immaginazione, il disegno finalizzato all'esorcizzazione, all'addomesticamento di ciò che è inafferrabile: catastrofi, paure, Dio. Infine l'impiego scientifico, la cartografia, che però non scorda le origini, popolando di mostri le profondità marine che separano i continenti. Ma anche la pittura come lotta, contestazione, ribellione. Come sul muro di Berlino e sul suo fratello più giovane: quello di Gaza. Il ciclo si chiude, la pittura torna a rappresentare ciò che è più vicino: la lotta quotidiana, le necessità primarie, la storia che sta intorno. Solo il contesto cambia: il pigmento naturale è ora vernice spray, l'uomo una moltitudine, la caverna un intero stato, ma senza vie di fuga.
Post ispirato da un aticolo letto su Carta.

Blu sul muro di Gaza


Banksy sul muro di Gaza

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