Ci sono vocaboli che, col passare del tempo, perdono la loro accezione attiva, rimanendo a testimonianza di una realtà inattuale. A caratterizzarli è l'impossibilità del loro utilizzo al fine di spiegare la contemporaneità. Termini la cui funzione attributiva è rivolta solo al passato, sequenze polverose di lettere rimaste a ricordare ciò che è stato, significati granitici non più alterabili.
La loro fondamentale importanza consiste nel testimoniare la passata esistenza di schemi di pensiero, filosofie, istituzioni e movimenti ormai estinti. Aggettivi come aristoratico, proletario, bolscevico, illuminista o - in senso filosofico - punk, proferiti al giorno d'oggi fanno quasi tenerezza, come fanno sorridere i feticisti nostalgici che si ostinano ad utilizzarli, necrofili del linguaggio che rifiutano l'evidenza: oltre un certo punto alcuni termini perdono la propria capacità di spiegare la realtà semplicemente perchè non esitono più le condizioni che hanno portato al loro conio. Morto l'ultimo sessantottino più nessuno potrà definirsi tale senza risultare ridicolo. Si tratta di concetti le cui colonne portanti sono crollate, rendendoli anacronistici, o che col tempo hanno subito mutazioni talmente radicali da finire per trasformasi in altro, esattamente com'è avvenuto alla società che li ha prodotti.
A volte capita però che una parola riappaia, riemergendo a forza da un oscuro passato e portando con sé tutta l'aura di misteriosa inquietudine che la contraddistingueva. E' ciò che è avvenuto in questi giorni sulle pagine dei giornali, dove un aggettivo è rifiorito: piduista.
Memorie si un piano che in tanti punti si è realizzato, con coincidenze tali da metterne in dubbio la casualità. Personaggi per nulla estranei ai misteri d'Italia scoperti a ruzzolarsi in nuovi pantani. Inquietudini passate che ritornano ferocemente attuali.
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