Ho sempre amato l'inverno.
Anche quando è più corrosivo, col gelo che crepa le ossa e deterge i pensieri. L'ho sempre trovato temprante, purificatore, un confine che separa il vecchio dal nuovo, tonifica il corpo, strappa la vecchia pelle così che una nuova possa ricrescere addosso, indisturbata.
Sono rituali importanti, quando non si ha una religione in cui sperare.
Quest'anno però è diverso. Sarà lo spaesamento dovuto alla mancanza di traguardi segnati, sarà l'insoddisfazione, il sospetto latente di trovarsi sempre nel luogo sbagliato. Sarà la nebbia novembrina dentro cui certi pensieri si perdono senza saper più misurare la distanza da casa, come quel vecchio riminese di provincia dentro un film di Fellini. Sarà forse solo quest'inverno strano, che non vuol mollare il suo vestito d'autunno e lascia in bocca un sapore malinconico di decadenza senza fine, come un purgatorio senza uscita, prolungato per l'eternità.
Saranno cose di cui non si sa o non si vuol trovare il nome, che basta osservarne il profilo delle orme per capire che a seguirle non guiderebbero verso luoghi sicuri.
Sta di fatto che, a pensarci bene, questo sembra un buon momento per partire. Per scansare questo inverno strano, per lasciar che questa volta se ne resti qui. Solo. A passare.
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