7 marzo 2012

Welcome

Arrivare, come partire, è, prima che un atto fisico, una condizione mentale.
Pensa un po'.
Per andarsene da quella cosa che, a torto o ragione, chiamiamo casa serve una spinta al movimento, la tendenza all'altrove che nasce in qualche angolo remoto del cervello e cresce, si espande, finché non diventa intuizione, voglia, desiderio, decisione. Tutta roba che precede di parecchio valigie e biglietti e saluti e cose gettate dietro spalle proprie e altrui. E, ok, fin qui si sapeva.
Ma a sorprendermi è stato il fatto che anche l'arrivo preveda il suo iter mentale, non meno complesso. E una quantità di energia e risoluzione forse anche maggiori.
Non che mi aspettassi che la distanza tra i due capi del filo corrispondesse alla breve finestra di un volo intercontinentale e all'attraversamento di un paio di gate, no, sarebbe stato ingenuo, ma il fatto che la meta sia giunta a una tale distanza, temporale prima che fisica, ecco, mi ha preso un po' in contropiede.
Non sapevo che i chilometri mentali fossero così lunghi da macinare.

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